Febbraio 2021 - Lettera del Superiore Generale agli amici e ai benefattori, n° 80

Cari fedeli, amici e benefattori,

stiamo vivendo un momento particolarissimo della storia, e per così dire eccezionale, con la crisi legata al coronavirus, e tutte le ripercussioni che comporta. Mille questioni si pongono in una tale situazione, e altrettante risposte sarebbero necessarie. Sarebbe utopico pensare di fornire una soluzione a ciascun problema in particolare, e non è questo lo scopo delle nostre riflessioni. Noi vorremmo piuttosto analizzare qui un pericolo in un certo senso più grave di tutti i mali che affliggono attualmente l’umanità: si tratta del pericolo che corrono i cattolici nel reagire in modo troppo umano al castigo che colpisce attualmente il nostro mondo, tornato pagano con l’apostasia.

In effetti, da diversi decenni ci aspettavamo un castigo divino, o un qualche intervento provvidenziale che venisse a rimediare a una situazione che, da molto tempo, ci sembrava perduta. Alcuni pensavano a una guerra nucleare, a una nuova ondata di povertà, a un cataclisma, a un’invasione comunista oppure a una crisi petrolifera… Insomma, ci si poteva aspettare un qualche evento provvidenziale con il quale Dio avrebbe punito il peccato dell’apostasia delle nazioni, e suscitato delle sane reazioni nelle persone ben disposte. In ogni caso, ci aspettavamo qualcosa che svelasse i segreti dei cuori. Ora, anche se forse non hanno i contorni che avevamo previsto, gli sconvolgimenti che stiamo attraversando svolgono questo ruolo rivelatore.

Che succede con la crisi che viviamo in questo momento? Cerchiamo di analizzare i sentimenti che occupano i cuori dei nostri contemporanei, e cerchiamo soprattutto di esaminare se le disposizioni di noi cattolici riescono ad innalzarsi all’altezza della nostra fede.

˜ Dei timori troppo umani

Per semplificare, si scoprono tre tipi di timori che s’intrecciano oggi nella quasi totalità degli uomini, e che esauriscono le loro energie.

In primo luogo, il timore dell’epidemia come tale. Non si tratta qui di discutere della nocività del coronavirus: ma ciò che è sicuro è che il mondo senza Dio si attacca alla vita mortale come al bene più assoluto, davanti al quale tutti gli altri si devono piegare e perdono importanza. In conseguenza, ed è inevitabile, questa prospettiva falsata genera un’inquietudine universale e incontrollabile. Il mondo intero sembra perdere la ragione. Ipnotizzato dal pericolo che minaccia la priorità delle priorità, letteralmente in panico, ognuno si rivela profondamente incapace di riflettere su altre questioni, o di prendere dall’alto una situazione che lo supera.

Vi è in seguito lo spettro della crisi economica. Beninteso, è del tutto normale che un padre di famiglia si inquieti per il futuro dei suoi figli, e Dio sa se in questo momento abbondino le più legittime preoccupazioni. Ma voglio parlare di quel timore più generale, e in definitiva più egoista, di diventare un po’ più poveri, e di non poter più godere di ciò che era considerato come acquisito, e oggetto di diritti inalienabili. Questa prospettiva è strettamente legata alla precedente: se infatti la vita di quaggiù è il bene supremo, le ricchezze che permettono di goderne maggiormente, o il più possibile, diventano ugualmente e necessariamente un bene supremo.

A tutto questo si aggiunge infine l’ansia per la perdita delle libertà individuali, di cui gli uomini hanno finora goduto. Mai prima si era vista una tale presa di coscienza generale dei “diritti dell’uomo”.

Si potrebbe sviluppare lungamente l’analisi di questo triplice timore e di tutto quanto vi è collegato. Notiamo semplicemente che il suo fondamento è profondamente naturale, puramente umano, e che si potrebbe riassumere nell’inquietudine che niente non sia più come prima della crisi: questo “prima” essendo percepito in modo confuso e universale come il benessere ideale e inalienabile, che l’umanità illuminata aveva gloriosamente conquistato.

Ora, se si analizza in profondità questo timore e i comportamenti che provoca, si ritroveranno paradossalmente dei sotterfugi analoghi a quelli che i pagani dell’antichità utilizzavano per spiegare ogni fenomeno che sfuggiva loro. Quel mondo antico, certo colto, civilizzato, organizzato, ma purtroppo ignorante della Verità, ricorreva a dei mostri, a degli dèi di ogni genere, e soprattutto a miti volgari, per tradurre ciò che non riusciva a comprendere. Oggi, noi assistiamo a delle reazioni simili: di fronte alla paura, di fronte all’incertezza del futuro, nascono spiegazioni che partono in ogni senso, sistematicamente contraddittorie tra di loro, e che si intersecano tra loro senza fine. La loro inconsistenza è manifestata dal fatto che sono continuamente superate, nello spazio di qualche ora o di qualche settimana, da delle spiegazioni più raffinate, più sottili, apparentemente più convincenti, ma non necessariamente più vere. Ci troviamo di fronte a dei veri miti, dove degli elementi reali si intrecciano a delle storie fittizie, senza che se ne possa più individuare il limite. E si vede germogliare una specie di aspirazione verso una qualche soluzione miracolosa, utopica, capace di dissipare le nebbie in un colpo solo e di risolvere tutti i problemi.

È un po’ l’antico grido di confusione, di angoscia e disperazione che riappare, dopo duemila anni, in un’umanità ritornata al paganesimo. E non poteva essere diversamente: questo mette in luce, per chi vuole vedere, quanto l’umanità senza Dio è smarrita e votata alla follia. Soprattutto, è da notare che l’uomo moderno che ha perso la fede, e che dunque non crede più, è per il fatto stesso disposto a credere qualsiasi cosa senza vero discernimento.

La nostra speranza è ancorata al Cielo

Ma per quanto ci riguarda, siamo certi di essere immuni da questo spirito? Beninteso, i tre timori di cui abbiamo parlato sono comprensibili, e in una certa misura legittimi. Ciò che non è legittimo, è lasciare che tali timori impediscano, soffochino ogni considerazione soprannaturale, e ancor più che compromettano così la possibilità di trarre profitto da questa prova.

In effetti, non dimentichiamolo mai, noi restiamo nella realtà e nella verità solo se manteniamo uno sguardo di fede. Niente sfugge a Dio e alla sua Provvidenza. È certo che, al di sopra delle contingenze che ci colpiscono, Dio ha un piano preciso. E che il richiamo per gli uomini della loro condizione mortale, come della fragilità dei loro progetti, appartiene a questo piano.

Dio mostra in primo luogo all’uomo di oggi, avvelenato dal positivismo (questa negazione di un ordine divino), che la natura che lo circonda è opera sua, e che obbedisce alle sue leggi. Dio fa comprendere al moderno Prometeo, indottrinato dal transumanesimo (questa negazione dei limiti dell’uomo), che la natura che Egli ha creato sfugge alla tecnica e al controllo delle scienze umane. È una lezione estremamente necessaria, particolarmente oggi. Noi dobbiamo riceverla preziosamente e farla nostra, tanto più che l’uomo moderno, accecato dal suo sogno di potenza assoluta, si è reso incapace di coglierla. E noi vi dobbiamo trovare delle nuove spinte per adorare la grandezza di Dio, e per vivere intimamente nella dipendenza da Lui.

Più concretamente, che ci direbbe Nostro Signore, a cui nulla sfugge, e che ha previsto tutto in anticipo? «Perché temete, uomini di poca fede? Non credete che io sia veramente Dio, che sono veramente onnipotente, che dirigo tutto nella mia sapienza e bontà? C’è forse un solo capello della vostra testa che cade senza che io lo sappia e lo permetta? Non sono forse il Signore della vita e della morte? Pensate che un virus possa esistere senza di me? Che dei governi possano promulgare delle leggi senza che io resti il Signore? Che cosa può succedervi di grave, se sono con voi sulla barca, in mezzo alla tempesta?».

Tutto il problema sta qui, cioè nella risposta che noi possiamo dare a queste domande. Nostro Signore è veramente nella barca della nostra anima? Se sì, abbiamo veramente questo sguardo di fede, che ci permette di interpretare ogni evento della nostra vita quotidiana alla sua luce? Riusciamo a mantenere una totale fiducia in Lui, anche quando non capiamo bene ciò che accade? Le risposte eterne che la fede ci fornisce ci bastano? O sentiamo il bisogno di diluirle in quelle, continuamente aggiornate, che possiamo trovare su internet? I mesi che sono trascorsi hanno aumentato in noi la fiducia nel Signore? o hanno contribuito a chiuderci in noi stessi e nel nostro smarrimento? Ognuno di noi deve rispondere con sincerità, in coscienza, a ciascuna di queste domande.

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Tra di noi vi sono anche alcuni che temono, al di là dell’epidemia stessa, lo scatenarsi di una persecuzione a lungo termine contro il culto, e particolarmente contro i cristiani. È comprensibile che sorga questa domanda, perché sappiamo bene che il mondo ci odia, e che presto o tardi questo deve succedere: che sia in ragione dell’epidemia, o indipendentemente da essa. Non potremo sfuggirvi. Si tratta di una verità evangelica, di gran lunga precedente allo sbando attuale: «Sentirete parlare di guerre e sedizioni» ci dice Nostro Signore «una nazione si leverà contro l’altra, e un regno contro l’altro; ci saranno grandi terremoti e in diversi luoghi pestilenze e carestie; […] metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno; vi consegneranno nelle sinagoghe, vi getteranno in prigione, sarete portati davanti ai re e ai magistrati, a causa del mio nome»1.

Ma anche in questo, il nostro timore deve immergersi nella luce pacificante della nostra fede: «Non abbiate paura»2. Avvertiti da lungo tempo, dobbiamo pacificamente prepararci, con un abbandono senza riserve tra le mani della Provvidenza, e senza cercare disperatamente il mezzo di sottrarci. Ripensiamo ai cristiani dei primi secoli in piena persecuzione: quelli tra loro che si concentravano troppo sui persecutori, gli strumenti di tortura o le bestie feroci, dimenticando il Dio d’amore che li chiamava a raggiungerlo, non vedevano altro che il pericolo, il dolore, la paura… e finivano per apostatare. Non mancavano di informazioni chiare, ma la loro fede non era abbastanza forte, e non era stata abbastanza nutrita da una preghiera ardente: «State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio, infatti, esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando»3.

E poi Nostro Signore ci avverte: «Il servitore non è più grande del suo maestro. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi»4. In ogni prova si trova il mezzo segreto e prezioso per vederci configurati al nostro Salvatore, al nostro modello, e di poter così «compire in noi ciò che manca alle sofferenze del Cristo»5.

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Infine, un’ultima riflessione può aiutarci ad aderire alla realtà e a lasciare il coronavirus al suo giusto posto. Accanto alla presente crisi, la Chiesa ne attraversa una ben più terribile e devastante, alla quale dobbiamo restare molto più sensibili. Guai a noi se così non fosse, sarebbe il segno che non abbiamo più uno sguardo di fede! Quest’altra crisi è in effetti molto più mortale, perché coloro cui ha fatto perdere la fede, rischiano di perdere la loro anima per sempre. A questo si aggiunge purtroppo, nelle attuali circostanze, l’assenza totale di un messaggio soprannaturale da parte della gerarchia della Chiesa sugli effetti del peccato, sull’esigenza della penitenza, l’amore della croce, la preparazione alla morte, il giudizio che attende ogni uomo. Veramente una catastrofe nella catastrofe.

Allora quanto a noi, non perdiamo la speranza, che non si fonda né sui nostri sforzi né sulle nostre qualità, né sulle nostre analisi – per quanto pertinenti possano essere -, ma sui meriti infiniti di Nostro Signore Gesù Cristo. A Lui dobbiamo ricorrere sempre, ma soprattutto quando siamo oppressi e schiacciati sotto il fardello. Particolarmente per noi che lo conosciamo, è un dovere di carità verso coloro che vivono nella tragica ignoranza di questa realtà così consolante. Se vogliamo veramente essere apostoli per il prossimo, in questi momenti privilegiati, l’apostolato più efficace e più appropriato è quello dell’esempio di una fiducia senza limiti nella divina Provvidenza. C’è un modo esclusivamente cristiano di portare la croce e di sperare. Il nostro desiderio di tornare alla normalità deve essere anzitutto quello di recuperare pienamente questa fiducia, alimentata dalla fede, dalla speranza e dalla carità.

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Per ottenere queste grazie così preziose, raddoppiamo tutti in fervore, genitori e figli, nella crociata del Rosario che ci raduna ed unisce, perché la nostra preghiera ardente vi trovi gli accenti infuocati cui Dio non potrà resistere. Per la Messa e le vocazioni, per il mondo e per la Chiesa, per il trionfo della Vergine Maria.

Ecco il vero modo di uscire dalla crisi, senza aspettare la fine dell’epidemia.

«Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? […] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore»6.

Dio vi benedica!

Menzingen, 2 febbraio 2021

nella festa della Purificazione della Beata Vergine Maria

Don Davide Pagliarani, Superiore Generale

  • 1Lc 21, 9-12
  • 2Lc 21, 9
  • 3Lc 21, 34-36
  • 4Giov 15, 20
  • 5Col 1, 24
  • 6Rm 8, 35-39