Il Santo Sacrificio della Messa
Monsignor Lefebvre ha spesso ricordato che non voleva che la Fraternità avesse una propria forma di spiritualità, ma che la sua caratteristica peculiare dovesse essere la venerazione per il Santo Sacrificio della Messa. La Santa Messa, infatti, è la ripresentazione del sacrificio del Signore sulla croce. Per mezzo di essa vengono incessantemente riparati i peccati dell’umanità, vengono date ai fedeli – e applicate alla loro vita cristiana – le grazie che Cristo ha meritato sulla croce e viene offerta ai peccatori e agli infedeli la grazia della conversione.
I sacerdoti della Fraternità celebrano la Santa Messa esclusivamente con il rito romano tradizionale. Questo rito, attraverso la sua bellezza, dignità e solennità, favorisce lo spirito di adorazione ed è la piena espressione della fede cattolica nel Santo Sacrificio. Come ha spiegato papa Benedetto XVI il 7 luglio 2007, questo rito non è mai stato abrogato. Così scriveva il Santo Padre: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”.
Il nuovo rito della Messa del 1969 rappresenta invece – secondo il giudizio dei cardinali Ottaviani e Bacci – “un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa”.Tutte le modifiche sono state finalizzate ad offuscare l’idea del sacrificio e ad avvicinarsi così alla “cena eucaristica” nel senso protestante.
Martin Lutero si oppose all’insegnamento del Sacrificio della Messa con le espressioni più virulente, e abolì sia il Sacrificio della Messa che il sacerdozio. La sua “messa” era semplicemente una celebrazione commemorativa dell’ultima cena di Gesù. Èimpressionante vedere come nella nuova Messa si trovino realizzate alcune delle richieste fondamentali di Lutero: prima fra tutte, la soppressione dell’offertorio e del canone romano. L’offertorio tradizionale esprime in modo chiaro che la Messa è un sacrificio per l’espiazione dei peccati: “Accetta, Padre santo, onnipotente eterno Iddio, questa ostia immacolata, che io, indegno servo tuo, offro a te, Dio mio vivo e vero, per gli innumerevoli peccati, offese e negligenze mie, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, affinché a me ed a loro torni di salvezza per la vita eterna. Amen”. Nel nuovo rito l’offertorio è stato eliminato e sostituito con una preghiera di “presentazione delle offerte” il cui testo è stato tratto da una preghiera giudaica per la benedizione dei pasti: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna”. Di espiazione e sacrificio non è fatta più alcuna menzione.
Il canone romano della Messa, che già sotto san Gregorio Magno (†604) aveva la sua forma attuale, è stato certo conservato (sebbene con alcune modifiche) come possibile scelta, ma sono state anche aggiunte nuove preghiere eucaristiche, teologicamente meno chiare. La seconda preghiera eucaristica, in particolare, si distingue per il fatto che, come è stato scritto nel “Breve esame critico del Novus Ordo Missæ” presentato dai cardinali Ottaviani e Bacci, “può essere celebrato in piena tranquillità di coscienza da un prete che non creda più né alla transustanziazione né alla natura sacrificale della Messa, e […] quindi si presterebbe benissimo anche alla celebrazione da parte di un ministro protestante”. In questa preghiera eucaristica, in effetti, non figura in nessun punto il concetto del sacrificio; d’altronde, per via della sua brevità è molto popolare ed è la più utilizzata tra le quattro preghiere eucaristiche ufficiali.
Anche un’altra delle novità che maggiormente risaltano agli occhi, e cioè l’altare rivolto al popolo, contribuisce all’oscuramento della dottrina cattolica. Questo modus celebrandifa del sacerdote il presidente di una mensa: ma la Messa non è una mensa, bensì un sacrificio. La comunione stessa, che può effettivamente essere denominata una mensa, è in primo luogo il frutto del sacrificio. Del resto, si può assistere alla Messa anche senza fare la comunione, per cui la Chiesa ha fatto dell’assistenza alla Messa domenicale, e non della ricezione della comunione di domenica, uno dei suoi precetti.
Inoltre, con la celebrazione in direzione del popolo si dà l’impressione che la Messa sia come una qualsiasi celebrazione mondana, con l’uomo al centro. La preghiera è resa più difficile, perché stare l’uno di fronte all’altro non è una posizione propizia alla preghiera.
Anche aver rinunciato – come è di regola ormai quasi dappertutto – all’uso del latino come lingua liturgica ha tolto alla liturgia il senso del sacro e del mistero. La lingua vernacolare dà l’erronea impressione di capire ciò che nella Messa non è dato di capire, perché la presenza di Cristo e del suo sacrificio sull’altare sono un grande mistero della fede. Un’insufficiente istruzione catechistica ha contribuito a far sì che oggi, tra coloro che ancora vanno a Messa, quasi nessuno sa più che cosa è veramente la Messa.
La riforma liturgica si proponeva di avvicinare la Messa ai fedeli. E invece è accaduto il contrario, come si può notare anche dal numero sempre più basso di persone che vanno a Messa (mentre il numero di persone legate alla Messa tradizionale è in continua crescita). La riforma liturgica, quindi, è sotto questo profilo un esperimento fallito, come si può evincere anche da questa citazione dell’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi che viviamo oggi nella Chiesa poggi in gran parte sulla liturgia, che a volte viene concepita etsi Deus non daretur”1 .
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Aus meinem Leben, DVA 1997, p. 174.